20 Gennaio 2025
Cristiani nel mondoDalle Comunità localiFocus

Una fiaccolata per raccontare il carcere oltre i pregiudizi

DI IDA NUCERA

La Comunità di Vita Cristiana di Reggio Calabria ha organizzato anche quest’anno, Maranathà, la fiaccolata attorno alle mura del carcere. A occuparsene il gruppo apostolico impegnato in questa attività. Appuntamento il 5 gennaio alle ore 18, presso il Piazzale antistante la casa circondariale di San Pietro. In attesa che tutti arrivino, abbiamo chiesto alla responsabile Pinella Zimbalatti di parlarci del gruppo e delle attività prestate durante l’anno.

Pinella, tra poco avrà inizio Maranathà. Quale la motivazione che spinge a ritrovarsi, cercando di coinvolgere la città?

Dopo tanti anni e l’interruzione Covid, abbiamo mantenuto il titolo Maranathà perché, anche in questo tempo buio, il Signore continua a venire, non si stanca di venire dagli ultimi, dai piccoli, dai dimenticati. In questo tornare del Signore, traiamo il senso profondo, quello che dentro ci muove e tante volte ci commuove. Ritrovarsi nell’intento di far conoscere la realtà, spesso falsata, di chi vive dietro le sbarre, cercando di “socchiudere” quelle porte. Il nostro desiderio, come dirò tra poco, è tenere accesa, in loro come in noi, quella piccola luce visibile anche nella situazione più disperata. Non siamo né eroi né evangelizzatori, non possediamo la verità in tasca e ancora meno abbiamo la possibilità di risolvere alcun problema, come i diritti non rispettati, per noi irrinunciabili, ma che per loro hanno solo il sapore dell’utopia.

Sbarre esterno carcere Reggio Calabria

Come si compone il Gruppo Carcere e cosa fa concretamente?

Da quest’anno ci sono due attività, accanto a quella all’interno del carcere, si è aggiunta quella esterna, rivolta ai minori con reati, per cui il giudice dispone la messa in prova, una misura alternativa alla detenzione. Questi giovani, per un certo periodo, sono accompagnati da alcuni di noi nello svolgimento di attività varie. Invece, presso la Casa Circondariale di Arghillà, sita in una zona periferica e difficile, siamo presenti con due gruppi, quello che si occupa di lettura e scrittura di cui fanno parte, già da molti anni, Paola Schipani e Romina Arena e quello che organizza il cineforum.

Da quest’anno siamo nella sezione dei protetti, cioè dei sex offender, una realtà delicata e complessa. Sono detenuti che non possono partecipare ad attività comuni, perché per questi reati a sfondo sessuale, all’interno del carcere, c’è ostilità da parte degli altri detenuti, e bisogna, quindi, tenerli separati, protetti, appunto.

Come ci si relaziona con queste persone, sospendere il giudizio, forse non è semplice…

In realtà noi non chiediamo cosa hanno fatto, per una forma di discrezione nei loro confronti e anche per non farci condizionare. Se loro sono disponibili a parlare di qualcosa, lo facciamo. Può accadere dopo la visione di alcuni film, perché le tematiche fanno emergere qualcosa del vissuto, ma deve partire da loro.

Poco distante da Pinella, c’è Nino Mallone, da pochi mesi fa esperienza di questo servizio e gli chiediamo: Nino, come vivi questa particolare esperienza di incontro e dialogo?

Parliamo molto e l’esperienza mi tocca profondamente, perché le situazioni sono molto drammatiche. Incontro persone detenute per stalking, abusi, violenze su minori…

Anche tu, come fai a sospendere il giudizio?

Non giudico, dialogo con loro, c’è chi mi rende partecipe della propria accusa. A volte dicono: ho sbagliato, sto pagando. Altri si dichiarano innocenti. Sono anche molto colpito da chi subisce la lentezza della giustizia, ad esempio, dopo anche 15 anni, è condannato in via definitiva e si ritrova in carcere, dopo essere rimasto a piede libero per molto tempo dal momento dei fatti alla conclusione dell’iter giudiziale.

Concludiamo questa narrazione a più voci, con Paola Schipani, che ne custodisce la memoria storica. Paola, quando tutto è iniziato?

All’epoca della Tangentopoli reggina, quando p. Vincenzo Sibilio era cappellano, il carcere si è riempito di tutta la classe dirigente e noi siamo stati stimolati da lui a guardare questo luogo. La prima veglia è stata fatta intorno agli anni ’90 fuori dalle mura del carcere.

A quel tempo entravate?

Nessuno entrava in carcere, l’apostolato era stata un’esperienza dei tempi di padre Reghelin, ma si era interrotta. Nel 2004 siamo entrate io e Annamaria e a quel punto la Veglia non solo è stata mantenuta, ma siamo riuscite a portare fuori qualche voce. Non hanno mai avuto un collegamento diretto, se non mandando fuori delle intenzioni di preghiera, dei testi.

Questa volta è un po’ diverso…

Si, c’è una dinamica che faremo stasera, che abbiamo già fatto in carcere.

Il tema di questa volta?

È la speranza, in coerenza con l’anno Giubilare.

La speranza può arenarsi, attraversare la tempesta e poi…

Poi la speranza è qualcosa che ti impegna, non è una parola per anime belle, è rimboccarsi le maniche, scegliere la parte della storia dove stare.

I testi che avete scelto sono poco canonici e molto belli, De Andrè in apertura e chiusura…

Sul filo del tema che stiamo per percorrere, De Andrè, da non credente, prima, ne La canzone del maggio, dà un giudizio ancora attuale sulla realtà; al termine, suggerisce la via della speranza, nello spezzare il pane e versare il vino con chi si professa assassino. La via eucaristica a cui non possiamo sottrarci.

Quest’anno il nostro incontrarci non è stato più definito Veglia, ma Fiaccolata, la scelta delle parole a volte ci provocano, ci fanno uscire dalla nostra comfort zone…

I testi e la struttura sono stati scelti in modo molto spontaneo, ci siamo accorti alla fine che non c’erano testi biblici, se li intendiamo come testi canonici. In realtà, i testi biblici ci sono, eccome, il primo che leggeremo è la vita delle persone che stanno là dentro. Ho proposto al gruppo di non chiamarla Veglia di preghiera, perché il termine poteva tenere lontano qualcuno, che invece, adesso può pregare con noi in un’altra forma.

Fiaccolata Reggio Calabria

Si accendono così le fiaccole per cercare oltre i propri occhi una stella, intonando la preghiera dei poveri di Jahvè.

Questi momenti preliminari non ci allontanano dal reale con la sua drammaticità, non impediscono di cogliere lo “stato delle cose”. Lo facciamo grazie alla lettura degli articoli della Costituzione, le parole del presidente Mattarella, i dati raccolti sulle inadempienze, il sovraffollamento, i suicidi nelle carceri.

Poi ci siamo mossi, illuminando la via stretta e buia che circonda il carcere, alternando momenti di silenzio a riflessioni, intrecciate alle note di Branduardi e di Springsteen.

Nelle soste ci siamo chiesti: a cosa ha diritto una persona detenuta?

Lo sguardo è andato lontano, a Cecilia, quando rispondevamo: ha diritto agli occhiali, a un letto, a un libro. Mentre completiamo questo articolo, lei finalmente assapora la libertà, anche se qualcosa della prigionia le rimarrà per sempre dentro: la mancanza di cielo, la tortura bianca a cui è stata sottoposta.

Abbiamo ripercorso una dinamica già sperimentata dentro, scrivendo sui cartelloni ciò che alcune parole evocano nei cuori, le abbiamo lette insieme. Poi si sono condivise le altre, quelle scritte dentro le mura, tra queste, ne ricordiamo una:

“Dopo quattro mesi, l’abbraccio di mia madre”.

Passi silenziosi nel buio della sera, interrotti da soste di parole luminose, in cui si è condiviso il sogno di giustizia, attraverso la suggestiva e intensa lettura del Manifesto utopico della buona galera, scritto e interpretato da Romina.

E tanti ancora gli interrogativi: abitare la speranza è possibile? Dove la trovo per impegnarmi, quando e a chi chiederla? Sicuramente è qualcosa che va cercata, da costruire passo dopo passo.

“Dammi la speranza – canta Chapman – che l’aiuto arriva, quando mi serve di più”.

Forse la speranza è la capacità di vedere, di essere pienamente uomini, riconoscersi fratelli. Figli del Padre. Il pescatore è ancora lì assopito, il solco del sorriso narra la sua storia. Conserva dentro di sé quegli occhi grandi da bambino, specchi di un’avventura di dolore e fuga. Una domanda ineludibile. La sua risposta nello spezzare il pane.

Visited 1 times, 1 visit(s) today

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *