9 Marzo 2025
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Israele e Palestina: per una diversa narrazione

DI ANTONIO CERVO

“Alcune storie che vanno oltre le guerre, le fedi e la politica”

Il 25 dicembre 1914 diversi soldati inglesi, francesi e tedeschi – durante la logorante guerra nelle trincee del Belgio – decisero spontaneamente di fermarsi per poche ore.

Niente più combattimenti in prossimità del Natale. E – come ben raccontato nel film “Joyeux Noel” (diretto da Christian Carion, del 2005) – quegli uomini decisero di ritrovarsi intorno a una partita di calcio, improvvisata nello stesso campo che li aveva visti combattere fino a poche ore prima.

Una storia minuscola, questa, non citata nei manuali di Storia adottati a scuola. Ma che proprio alcuni storici indicano – ancora oggi – come una rara fiammella di Speranza in quel mare di sangue che fu la Prima Guerra mondiale.

Perché? Perché è una storia che nasce “dal basso” (non nelle cancellerie internazionali). E perché disvela una contro-narrazione della storia, fatta da uomini e donne che, andando controcorrente, si sforzano di riscrivere il racconto di fatti e cose con parole e gesti “rivoluzionari”.

Questa la scia su cui opera Maurizio Del Bufalo, Presidente del Festival dei Cinema dei Diritti Umani, ospite della CVX del “Gesù Nuovo” di Napoli lo scorso febbraio.

La mission del Festival (nato diversi anni fa in Paesi ostaggio di totalitarismi presenti o passati, come Iran, Amazzonia brasiliana, Cile, Argentina…) non è solo quella di far conoscere il cosiddetto cinema azione, ma soprattutto quello di proporre una contro-narrazione della storia, in quei contesti politici e internazionali in cui la storia rischia di essere ingabbiata dalla “narrazione istituzionale dei fatti”.

Ecco, quindi, l’esigenza di dare voce alle storie di resistenza umana, alle denunce per la violazione dei diritti umani. Quelle stesse che spesso i sistemi antidemocratici imbavagliano o, peggio ancora, anestetizzano.

Così, nel bel mezzo del bombardamento mediatico per la recente crisi mediorientale, Maurizio Del Bufalo viene a contro-narrarci tre storie diverse, girate fra uomini e donne “qualunque”, che, consapevoli della complessità della storia e dei suoi cicli (dove è spesso arduo demarcare il confine netto fra le ragioni e i torti dei vari attori internazionali), si sforzano di navigare controvento, nella sola difesa dei Diritti Umani tutelati dall’ONU e nel desiderio di andare al di là dei muri alzati dalla propaganda di guerra.

La cacciata dei pastori

Nella sciarada dei dissidi atavici e delle atrocità perpetrate da ambo le parti (non ultima, quella subita dal popolo israeliano il 7 ottobre 2023), un focus particolare lo merita la sorte toccata da anni a tante “famiglie dimenticate” di pastori palestinesi. Come stigmatizzato da molti osservatori ONU, il reportage dà voce a un anziano (di cui non conosciamo il nome), che racconta del dolore e dell’angoscia patite di fronte all’ennesima distruzione della sua casa, a opera di gruppi estremisti israeliani. Fenomeni questi che minano la civile convivenza, oltre che i piani internazionali dei “due popoli, due Stati”. Le presenze di gruppi oltranzisti (spesso corroborati da letture religiose esasperate, capaci di legittimare i propri abusi) è, in ambo i campi, condanna alla rovina di ogni forma di incontro.

Combattenti per la pace

Nella convinzione che l’ideologia è spesso il vero filo spinato che divide e uccide, la storia di “Combattenti per la pace” è quella di un gruppo di uomini e donne, israeliani e palestinesi, quasi tutti reduci di guerra o ex combattenti. Sono persone che la guerra l’hanno fatta, non solo studiata sui libri: hanno visto sul campo cosa significa puntare un fucile contro un proprio “simile”. E proprio questo, per molti, è stato il “clic interiore”. Tutto è cambiato non appena ognuno di loro ha percepito l’Altro non più come l’ “israeliano” o il “palestinese”, bensì come “uno tale e quale a me” , perché “padre, madre, fratello, marito, come me…”.

Ciò ha portato alla nascita di questo gruppo che ormai si batte per la contro-narrazione dei fatti, per la denuncia delle politiche d’aggressione, per una vera etica della non violenza. Non senza rischi: insegnare che si è tutti membri della medesima famiglia umana è pacifico in certi angoli del mondo, ma non dove c’è la guerra, animata spesso da gruppi che proliferano insegnando odio e sopprimendo chi non racconta lo stesso.

Famiglie riconciliate

Jean Paul Sartre scriveva che non di rado l’incontro tra Uomo e Uomo rappresenta un vero e proprio dramma (“l’inferno degli Altri”). Sul piano esistenziale e umano, egli coglieva la problematicità del vivere, fotografando una dimensione dell’animo di ciascuno di noi, refrattario a ogni autentica forma di re-lazione. E quando l’ideologia droga questi sentimenti dell’animo umano, acuendoli? Qui c’è l’inizio di ogni forma di frattura tra l’io e l’Altro, fino a proiettarsi (a livello superiore) nelle guerre.

Eppure, anche qui la contro-narrazione è stata possibile quando la reporter Raffella Cosentino fa conoscere la storia di madri che hanno perso i propri figli in guerra per mano palestinese e che non hanno voluto iscriversi alla propaganda “del nemico”, né sposare la causa dei “vendicatori nazionali”.

Abbracciare il palestinese vicino di casa è la contro-narrazione scelta da una madre israeliana. Per “amare oltre. Per arrivare dove l’Amore fatica ad attecchire”.

Rivoluzioni del quotidiano, queste, nate “dal basso”, da persone comuni che rispondono alle “narrazioni ufficiali” con i loro percorsi interiori

Voci apparentemente più flebili del rombo dei cannoni, ma in grado di gettare semi di umanità nuova e vera, al di là perfino delle religioni e della politica, ricercando nell’Altro solamente “chi è simile a me”.

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