Intervista al prof. Tonino Perna
In un Diario la crisi di un sistema socio-politico e segni di speranza, dalla diretta voce del professor Tonino Perna.
A CURA DI IDA NUCERA
Dopo aver concordato telefonicamente le premesse di questa intervista, nell’accingermi a introdurre il mio interlocutore, guardo al profilo di Tonino Perna, da proporre al lettore. Ci conosciamo da diverso tempo, ma è sempre una rinnovata piacevole sorpresa scoprire che una persona con un così vasto bagaglio di esperienze umane e culturali sia così poco cattedratica e formale.
Chi è Tonino Perna, da Reggio Calabria
Tonino Perna è un uomo aperto e disponibile non solo al dialogo, ma a ogni esperienza nuova e generativa, anche quella che già in partenza risulta una lotta donchisciottesca contro i mulini a vento. Spiegare che sia nato a Reggio Calabria, sia stato professore Ordinario di Sociologia all’Università e presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, autore di molti saggi e libri, non esaurisce il profilo.
Incontriamo una persona molto sensibile alle tematiche della cooperazione internazionale, dell’area del Mediterraneo. Presidente del Centro regionale d’intervento per la cooperazione (Cric), del Comitato etico della Bpe (Banca Popolare Etica), ha ideato e promosso l’Osservatorio sui Balcani di Trento, della rivista Altraeconomia, del Parco Horcynus Orca e di quello di Ecolandia, che ha rivalutato una zona periferica di Reggio, Arghillà, ad alto rischio marginalità e criminalità.
Ricordiamo il suo impegno come assessore alla Cultura del Comune di Messina ai tempi del sindaco Accorinti, da cui è nato il libro: Le città ingovernabili: il caso Messina.
Quella parte della città reggina che spera in una svolta e in una ripresa, ha gioito quando Perna ha accettato, nell’ottobre del 2020, l’incarico di vicesindaco nella seconda giunta Falcomatà. Sono stati 385 giorni finiti con l’amaro in bocca. Molte le perplessità, quasi profetiche, lo trattenevano dall’accettare. Alla fine sono state fugate dagli incoraggiamenti di amici cari e “incredibilmente” dai familiari, che gli chiedevano di provarci: “Fallo per la città che ami e che sta morendo”.
Prof. Perna, anche questa volta, una città ingovernabile. Dell’esperienza sono rimaste delle istantanee lucide e vivissime rese, dal suo Diario, 385 giorni a Palazzo San Giorgio, non un saggio, una formula diversa, molto godibile, perché questa scelta?
Preciso che nel caso di Messina, e di tante altre città, l’ingovernabilità era il prodotto di tre fattori: 1) il debito ereditato e lo stato di default di fatto che comportava il blocco della spesa corrente da parte della Corte dei Conti; 2) tasse comunali al massimo, come conseguenza dello stato di dissesto finanziario; 3) la crisi economica e un malessere che si riversa sui sindaco prima che sulla Regione o sul governo. A Reggio, grazie al notevole contributo finanziario del governo, si era usciti dal default e, teoricamente, si potevano anche abbassare le tasse locali e avere qualche risorsa per la cultura, il welfare, il turismo ecc.
Rispetto alla scelta del Diario è venuta dal suggerimento di un mio amico, giornalista e scrittore di Pavia, Giorgio Boatti. L’ho seguito fin dal primo giorno, prendendo appunti senza sapere cosa ne avrei fatto.
Dalla lettura del suo libro viene fuori un lavoro che sembra la fatica di Sisifo, uno sforzo sovrumano nel raccogliere qua e là segmenti impazziti della realtà amministrativa, ma soprattutto il muro di gomma contro cui ha lottato è stato il mostro burocratico. Funzionari che scomparivano, chiavi che non si trovavano e lei che cercava di venire incontro alle mille richieste, soprattutto da parte di chi viveva il disagio periferico e abitativo…
Che dire? Ha dipinto con poche parole, come fa un’artista col pennello, la mia condizione esistenziale all’interno di una macchina amministrativa arrugginita (per usare un eufemismo). Immaginavo dall’esterno che le cose non funzionavano, ma che per trovare la chiave di un appartamento comunale e stabilire chi ne fosse responsabile potevano passare tre mesi (sic!)… Questo no, non lo immaginavo. Ed è solo un esempio.
A peggiorare le cose di certo è stato trovarsi nel bel mezzo della pandemia… A mettere insieme tante anime, armate di buona volontà. Molti i medici, lei racconta, che hanno messo a disposizione le loro competenze. Purtroppo, la Regione più volte si è messa di traverso, vedi la vicenda dei Covid Hotel, delle mascherine, la Panda per la Cri, tutti sprechi e tanto tempo perso, mentre il Gom (Grande ospedale metropolitano) scoppiava. Forse le è stato più facile operare in situazioni di emergenza quali i corridoi umanitari dalla Siria. Paradossalmente si può lavorare con risultati migliori in zone di guerra, o forse in Calabria viviamo una guerra molto più sottile e insidiosa?
Purtroppo, anche se parlare di guerra è esagerato, diciamo che si tratta di una battaglia estremamente difficile, contro un avversario invisibile, subdolo, che si nasconde dietro un codicillo o una falsa disponibilità. E una lotta che non si può condurre da solo. Speravo di trovare degli alleati in giunta, almeno in qualche assessore che conoscevo, ma non ne ho trovati… nei momenti importanti in cui venivano a galla i nodi irrisolti.
Tante volte lei chiedeva chiarimenti sulle problematiche più urgenti e drammatiche, quali la spazzatura. Nel Diario parla della discarica di Melicuccà, e nessuno le dava spiegazioni. Intanto la spazzatura era arrivata a coprire i marciapiedi e lei non poteva uscire di casa che era fermato da cittadini inviperiti a cui non sapeva cosa rispondere. All’interno del Palazzo, il suo intervenire era malvisto, come un indebito sconfinare su un territorio stranamente off limit! Ha vissuto giorni di grande impotenza e imbarazzo…
È proprio sulla gestione dei rifiuti che è avvenuto lo scontro con il sindaco e l’assessore all’ambiente (oggi Sindaco facente funzione). Loro insistevano fino all’inverosimile sull’utilizzo della discarica di Melicuccà, malgrado tre relazioni tecniche contrarie: un collega geologo dell’Università della Calabria, un ingegnere idraulico, una relazione dettagliata del Cnr di Napoli. Il rischio di inquinare la falda d’acqua che serve Palmi, una ridente cittadina della costa, era talmente alto che non capisco perché hanno insistito tanto e mi hanno attaccato, sia pure nella chat e non in pubblico. Io feci un intervento in Consiglio Comunale spiegando le ragioni del mio dissenso, ma non ebbero il coraggio di dibattere.
L’unica cosa che mi ripetevano era: “non hai la delega all’ambiente”. Ma questo non valeva quando mi occupavo di presentare progetti al Ministero dell’Ambiente, in accordo con il dirigente del settore, non valeva quando mi sono occupato di far riaprire il Lido comunale, anche se non rientrava nelle mie competenze, ecc. Insomma, la discarica era un tema tabù!
Prima di raccontarci come è andata a finire, le chiedo, nonostante tutto, di cercare i segni di speranza e le iniziative in questa città, violata e depredata, dalle centinaia di opere incompiute, eppure di una bellezza mozzafiato. Lei racconta, nel Diario della medicina sociale, delle tante associazioni di volontariato che incontrava senza le quali saremmo davvero allo sfascio. Siamo in tanti a operare nel sociale, però non siamo mai riusciti a fare rete ed essere costruttivi, perché?
Prima di tutto vorrei fare chiarezza: non c’è una società civile buona e una classe politica malvagia, ignorante e corrotta. Abbiamo livelli di inefficienza, corruzione, incapacità che sono trasversali. La corruzione è da tempo un fenomeno di massa che è cresciuto insieme al welfare, all’intervento dello Stato nell’economia. Che in sé è stato un bene che spesso dimentichiamo. Nel XIX secolo non avevamo le pensioni di invalidità, così come non c’era il sussidio di disoccupazione, così come se eri ammalato restavi a casa senza salario, ecc.
…come il reddito di cittadinanza: una conquista di civiltà che, alle volte, viene usato male.
Insomma, se abbiamo registrato nell’ultimo decennio nella piana di Gioia Tauro oltre 10.000 braccianti “fasulle”, magari mogli di professionisti che si prendevano l’indennità di maternità o altri benefici senza aver fatto un solo giorno di lavoro, non per questo cancelliamo la legge a favore delle braccianti, frutto di tante lotte del passato.
In realtà, dalla mia esperienza nella pubblica amministrazione di città meridionali, mi permetto di asserire che c’è una minoranza di impiegati onesti e capaci che reggono la baracca e garantiscono lo stipendio alla maggioranza. E questo avviene negli enti locali, nella Scuola, nell’Università, nella Sanità, ecc. Tutto si regge su una minoranza!
Tra le idee da lei portate avanti, una molto bella e realizzata è l’evento Last Twenty, molto creativa e un po’ folle, per cui è riuscito, miracolosamente, a ottenere due voci di bilancio per finanziarlo. Un G20 all’incontrario, dedicato ai 20 Paesi più poveri, partendo da una città che ricca non può dirsi. Chissà se altri sogni, come il lavoro in smart working, per cui ha scritto al ministro Provenzano, avranno seguito?
Il Last Twenty è stato veramente una follia. Ancora mi domando come ci siamo riusciti! Mettere insieme decine di Ong, di sindaci, di professori universitari, di rappresentanti della diaspora africana, di missionari, di giornalisti, ecc. per affrontare i grandi temi con cui si confrontano gli Ultimi della Terra… Insomma mentre in Italia si riunivano i G20, noi abbiamo pensato (dico noi perché anche se l’idea è di chi scrive non si fa nulla da soli) di volgere lo sguardo all’altra faccia del pianeta.
Le tappe del Last Twenty…
Dopo la tappa a Reggio Calabria, che ha affrontato i temi legati all’immigrazione, accoglienza, cooperazione comunitaria, Last 20 ha fatto tappa a Roma (sull’agro-ecologia e la lotta alla fame), L’Aquila (intercultura e dialogo inter-religioso), Milano (l’impatto del mutamento climatico sui L20) e si è concluso alla fine di ottobre 2021 a S.M. di Leuca sulla grande questione della pace, in un mondo in cui aumentano guerre e conflitti. Quest’anno prosegue con un Report Last Twenty 2022 e speriamo che si possa strutturare per offrire quest’altra visione del mondo, misurare la temperatura sociale, politica e ambientale del nostro pianeta a partire dagli Ultimi
Di sua iniziativa l’invito a due tecnici milanesi, lei spiega, venuti “a gratis”, per visitare l’inceneritore di Gioia Tauro che lavora con solo due, a turno, delle quattro linee. Cosa si è scoperto in quella occasione e quanto c’è anche di mezzo la ‘ndrangheta?
Sì, son riuscito a far venire “a gratis” due ingegneri milanesi che lavorano per una grande azienda che costruisce i termovalorizzatori. Hanno prodotto un report che è stato inoltrato all’assessore all’ambiente del momento, Sergio De Caprio, noto come il comandante Ultimo. Nel rapporto si faceva un preventivo per modernizzare le due linee esistenti (ormai fatiscenti e inquinanti), e completare le altre due che sono rimaste “incompiute” (tanto per restare coerenti con l’ambiente esterno del “non finito”). Ci sarebbe su questo tema delle “incompiute” una ricerca psicanalitica da portare avanti: è come se questa nostra popolazione avesse paura di ciò che è completato, finito, forse perché sa di “morte” o semplicemente per sciatteria?
Purtroppo, l’assessore all’ambiente non fece nulla che andasse nella direzione della modernizzazione e completamento del termovalorizzatore (che oggi è solo un bruciatore!) che potrebbe assorbire tutti i rifiuti indifferenziati della Calabria, produrre energia, e far risparmiare alla Regione centinaia di milioni di euro che spende per inviare in altre regioni (attualmente a Bergamo!) i rifiuti!
A un certo punto la corda era troppo tesa e lei diviso tra il lasciare o restare. Il 19 novembre 2021 accade una cosa inimmaginabile: il sindaco la sostituisce, senza aver avuto il coraggio di parlargliene di persona. Lei dice, a un certo punto del Diario, che i miti non si devono sfidare. Quel mito era stato Falcomatà padre, il sindaco di tutti, amato trasversalmente in ogni angolo della città, perché era lì che andava ad ascoltare e dialogare, il grande e umile Italo, stroncato troppo presto dalla leucemia. Cosa c’è dietro questo gesto lacerante e poco coraggioso?
Penso sinceramente che il giovane Falcomatà sia stato vittima della sua famiglia. Il buon senso avrebbe suggerito che a trent’anni (31 quando è diventato sindaco per la prima volta) non si può gestire una città così difficile come Reggio Calabria. Ma, soprattutto, avrebbe potuto fare carriera politica in altro modo (consigliere comunale, regionale, parlamentare, ecc.) ma non offrendo alla gente un impossibile e ingestibile confronto col padre che è un mito in questa città. Il sindaco più amato a cui è intitolato il più bel lungomare d’Italia che è ricordato come artefice della Primavera reggina, nessun figlio poteva reggere il confronto.
Per quanto mi riguarda ho pubblicato questo Diario con l’intento di far conoscere ai cittadini quali sono i problemi più urgenti e gravi da affrontare, sperando che ci sia chi vuole “mettersi in gioco” e non restare a guardare una città che si sta spegnendo.