L’impegno permanente nella Cvx
SULL’IMPEGNO PERMANENTE NELLA CVX E SUL PERMANERE
Appunti per una riflessione, a cura di Umberto Bovani (Santuario di S. Antonio in Boves)
Si può partire da una domanda: cosa dà qualità alla scelta di stare nella Cvx?
Una domanda che può sembrare insieme retorica (perché ascoltata tante volte) e banale (perché la risposta può risultare scontata). Personalmente l’interrogativo mi sembra tutt’altro che scontato. Anzi oserei dire che la domanda apre a un discorso complesso quanto delicato. Due premesse.
La prima: comunità, impegno e permanenza sono strettamente legate tra loro, perché senza un soggetto di riferimento non si saprebbe su cosa fondare l’impegno permanente nella Cvx, né tanto meno la condizione stessa del permanere. Infatti il permanere non si può fondare né sul “senso del dovere”, né su un’indicazione di ordine morale, né sul buon consiglio di qualcuno. Il permanere esiste, e assume valore e autenticità, se esiste un “TU”, cioè un soggetto, un riferimento, cioè un CONTESTO. Il permanere accade là dove accade lo SPAZIO DELL’INCONTRO CON L’ALTRO/GLI ALTRI.
La seconda premessa. E’ sul permanere che assume valore il nostro ragionamento. Al richiamo dell’IMPEGNO infatti tutti (o quasi) rispondiamo positivamente, mentre la sola parola PERMANENTE crea rigidità, imbarazzo, diffidenza… La sola parola (anche se non ce lo diciamo apertamente) evoca qualche cosa di arcaico, di vecchio, di superato.
Penso che non sia da sottovalutare questo dato… in qualche modo ci mette di fronte a una realistica percezione di cosa normalmente intendiamo per impegno in relazione al suo permanere.
Impegno permanente nella Cvx: tre aspetti
Provo allora a dire sinteticamente che cosa mette in gioco il permanere e quindi in che senso può dare qualità alla scelta dell’Impegno Permanente nella Cvx. Tre aspetti:
1- Il permanere in primo luogo è OPERA DI MEMORIA, cioè opera di DIFESA e CUSTODIA di ciò che ha generato un evento, un incontro, una scelta.
Senza memoria storica (in senso generale) e senza memoria personale (in senso particolare) siamo incapaci di essere, perché incapaci di dare un senso al presente.
La perdita della memoria non è forse il motivo dello sfaldarsi di tutti i vincoli, dell’amore, del matrimonio, dell’amicizia, della fedeltà? Niente resta, niente si radica. Tutto è a breve termine, tutto ha breve respiro. Ma beni come la giustizia, la verità, la bellezza, e in generale tutte le grandi realizzazioni richiedono tempo, stabilità, “memoria”, altrimenti degenerano. Chi non è disposto a portare la responsabilità di un passato e a dare forma a un futuro, costui è uno “smemorato”, e io non so come si possa colpire, affrontare, far riflettere una persona simile (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa)
Pensiamo quanta verità esprimono le parole di Bonhoeffer, rilette nel contesto della vita comunitaria oltre che personale (e i due contesti come ben sappiamo non sono mai distinti. Anzi non posso che verificare quello comunitario alla luce di quello personale).
Opera della memoria perché non possiamo perdere il senso del “da dove veniamo”. Possiamo perdere la consapevolezza della nostra storia personale e di comunità, le ragioni del cuore che ci hanno fatto scegliere? Perché il problema non è soltanto aver presente e percepire una storia; qui il problema è rimanere fedeli, resistere a una storia che vuol dire mettere quella storia in relazione con il mio oggi, sempre nuovo e diverso.
2- Il permanere inoltre è un RIMANERE NELLA RELAZIONE perché nulla mi è dato per opera di un’intuizione estemporanea, per il rapimento di un momento. Solo permanendo in una relazione, costruita passo dopo passo, senza brusche desolazioni, ma anche senza entusiasmi passeggeri, allora mi sarà possibile capire, vivere, entrare nella profondità di un evento.
Il permanere si pone sul piano opposto alla FUGA, è un rimanere per osare e andare fino in fondo. In questo senso il permanere è strettamente legata alla responsabilità.
Il discorso non è facile ma proviamo a dirlo in questo modo: permanere è atto di responsabilità rispetto a una scelta esclusiva, perché riguarda la rinuncia a ciò che da quella scelta non può che essere escluso, non perché negativo, ma perché non permetterebbe di vivere la preziosità della scelta stessa dell’Impegno Permanente nella Cvx.
3- Quindi possiamo dire che è nel cuore che si gioca il permanere ed è vivibile, gestibile come qualità fondamentale della scelta comunitaria solo in rapporto alla propria libertà interiore, alla propria maturità umana e potremmo dire alla propria esperienza d’amore.
Questo è ciò che fa la differenza, non altro. La scelta dell’impegno permanente nella Cvx lavora sull’attualità della mia capacità di amare fino in fondo, che non vuol dire mettere l’altro prima di me, ma vivere di me grazie all’altro. Questa esperienza di realizzazione di sé e contemporaneamente di cura dell’altro può accadere solo in una prospettiva permanente, perché il cuore per amare, oltre la misura che umanamente gli è data, ha bisogno di tempo.
I facili innamoramenti affascinano la mente ma non cambiano la vita. Ciò che cambia la vita è il gesto che ha l’audacia di rischiare per qualcosa di definitivo. Qualcosa che percepisco intimamente nella tensione di un amore al quale non posso e non voglio più rinunciare.