Il Giubileo: un dono che viene da lontano
DI FRANCESCO RICCARDI
Ho tentato di entrare un poco più in profondità nella storia dell’anno giubilare, per poter meglio apprezzare lo spessore del dono che riceviamo. In effetti alle volte un cristiano può tendere a considerare quasi scontato che Qualcuno si avvicinerà alle sue fragilità e le risanerà dal profondo, ma questo è un dono umanamente inusitato.
Se poi chiamiamo le cose con il loro nome, cioè peccato e perdono, è difficile sfuggire a quel particolare brivido che porta al centro della vita.
Per prima cosa le radici, la prima intuizione e il significato di Giubileo
Un’analisi approfondita delle origini dell’anno sabbatico/giubileo fu compiuta da J. Alberto Soggin (1926-2010) nella conferenza tenuta il 13 novembre 1999 nell’Aula Magna del Pontificio Istituto Biblico, in prossimità del grande Giubileo del 2000. Soggin in questa occasione non mancò di riconoscere il debito nei confronti di padre Robert North S.I. che, nel corso della sua attività dagli anni ‘50 agli anni ’80, ha indagato anche da un punto di vista sociologico le origini del fenomeno. Il testo di Soggin fa perno sull’espressione ebraica shemittah, traducibile in vari modi come rilascio, riposo, abbandono. Sarebbe una sorta di termine tecnico che indicava un terreno lasciato incolto, i cui frutti spontanei dovevano essere a disposizione di chi, umano o animale, ne avesse necessità.
Il comandamento si trova in Esodo (23,10-11) riferito appunto ai terreni e viene descritto in modo più dettagliato in Levitico (25,1-7)
Sull’interpretazione del significato
Appaiono poi dei testi, più o meno complessi, in merito all’interpretazione, incentrati sull’emancipazione e il recupero dei propri beni da parte di coloro che sono caduti in schiavitù per insolvenza, l’espressione ebraica è deror, simile alla manumissio dei latini.
Soggin esamina in particolare Esodo 21 e Deuteronomio 15,1-11, i testi classici in cui la Scrittura insegna che la perdita della libertà e dei mezzi di sostentamento non può essere senza speranza.
L’evoluzione di questa sensibilità nei confronti di un sostanziale rispetto, forse anche indisponibilità, nei confronti della natura e degli esseri umani non deve essere stata facile. Soggin cita possibili precedenti in Assiria, nelle culture cananee, in particolar modo a Ugarit, sia riferibili al riposo della terra che a occasionali remissioni di debiti. Ritiene però che il passaggio a una coscienza chiara dell’indisponibilità degli esseri umani sia stato il frutto della predicazione profetica in Israele.
Differenza tra anno sabbatico e anno giubilare
In realtà nei testi biblici citati non vi è totale coincidenza tra anno sabbatico e anno giubilare. Quest’ultimo appare una specie di prolungamento del primo, celebrato con minore frequenza e più in grande stile, annunziato in tutto il paese dal suono del qeren jobel, il corno di ariete (alcuni studiosi contestano sostenendo che l’origine del nome sia da collegarsi con l’espressione jabal, che indica una concessione). Però, a parte le prescrizioni operative, lo spirito che anima l’istituto è il medesimo, il mondo e quanto in esso è contenuto appartiene a Dio e a nessun altro.
Il problema è se sia stato osservato veramente oppure no
Diversi studiosi sostengono che sia stata unicamente un’intenzione, rimasta di fatto lettera morta.
Nel Pontificio Istituto Biblico le opinioni sono un poco più sfumate. In epoca preesilica la pratica sabbatica/giubilare non sembra sufficientemente attestata, mentre in epoca postesilica sembrerebbe di sì, a partire dall’episodio narrato nel primo libro dei Maccabei (6,49-54), situabile nel 165/164 a.C., ritenuto piuttosto solido a differenza di altri, riportati da Flavio Giuseppe che mostrano i tratti della leggenda (Ant.XI, 343; XV, 7).
Debbo dire che l’ipotesi del comandamento totalmente disatteso mi sembra un poco difficile. Infatti abbiamo notizie di provvedimenti tesi a scongiurare il blocco economico che poteva aversi in prossimità dell’anno giubilare con l’impossibilità di avere crediti o effettuare compravendite. Addirittura uno dei trattati della Mishnah (Trattato Shevi’it, quinto trattato del Seder Zeraim) dedica attenzione a questo problema con il contributo di una personalità come Rabbi Hillel.
Se il comandamento non fosse esistito nei fatti, questa preoccupazione non sarebbe stata giustificata
Nella tradizione neotestamentaria apparentemente il giubileo non sembra avere uno spazio preponderante. In realtà non pochi teologi sostengono che questa disattenzione per l’anno giubilare nei primi secoli cristiani fosse dovuta alla consapevolezza che con la venuta di Cristo il tempo giubilare sarebbe stato permanentemente instaurato, così come suggeriscono le Sue parole stesse nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,21).
Peraltro è difficile pensare, almeno finché il cristianesimo non è stato ammesso tra i culti leciti con l’editto di Milano del 313, a un qualcosa di pubblicamente rilevante.
Nota però Franco Cardini in un suo scritto dedicato proprio a questo anno giubilare – il Dizionario del Giubileo edito dalla testata Toscana Oggi – che l’idea di fondo dell’indulgenza, cioè la possibilità per i fedeli di espiare il proprio peccato mediante atti di devozione particolari, esisteva sin dai primordi della Chiesa e addirittura fatti difficili per la coscienza moderna come le crociate furono pellegrinaggi armati, che consentivano di lucrare l’indulgenza.
Comunque sia, non ho trovato traccia di eventi giubilari generali nel corso dell’alto medioevo fino al XII-XIII secolo, quando vennero celebrati tre eventi simili su scala minore, generalmente considerati la preistoria del Giubileo cioè l’Anno Santo Giacobeo (1126), il Perdono d’Assisi (1216 con richiesta di San Francesco) e la Perdonanza Celestiniana (1294).
Il 1300 fu il primo anno giubilare vero e proprio
Ho trovato molto interessante questo evento, tra l’altro descritto da un testimone oculare, il Card. Jacopo Caetani degli Stefaneschi, nel suo De centesimo seu jubileo anno liber. Il fatto che più mi è rimasto impresso è stato il protagonismo del popolo cristiano. Secondo la cronaca dello Stefaneschi (esaminata dallo storico della Chiesa Agostino Paravicini, in un’intervista per Vatican News dal titolo Bonifacio VIII e l’idea del primo giubileo Papa Caetani sarebbe stato quasi trascinato dagli eventi dei primi giorni di gennaio del 1300 da un sentire popolare, che cresceva con un numero importante di persone che si riversavano in San Pietro.
Addirittura fece fare ricerche d’archivio su eventuali precedenti di dimensioni simili, interrogò un ultracentenario che si diceva ricordasse un’indulgenza concessa da Innocenzo III nell’anno 1200!
La cronaca dello Stefaneschi
Dopo consultazioni con i suoi esperti, alla fine Bonifacio si persuase e il 22 febbraio sacramentò quello che già stava accadendo con la bolla Antiquorum habet fida relatio.
Secondo il prof. Paravicini, il grande merito del Papa fu proprio quello di intuire, in un’epoca di effervescenza non sempre genuina, che in questo caso si trattava di un vero frutto dello Spirito, che imponeva la ratifica canonica.
Da allora una quarantina di giubilei, tra ordinari e straordinari, a scadenze variabili, centennali poi cinquantennali, trentennali e infine stabilmente ogni venticinque anni
Francesco anima la sua figura di pastore universale con i tratti ariosi che tutti conosciamo e anche il suo vedere l’anno giubilare manifesta questa sua sensibilità.
Un primo giubileo dedicato alla misericordia, indetto con la bolla Misericordiae Vultus dell’11 aprile 2015, ci ha ricordato quanto sia lontano dal Padre in cui crediamo un atteggiamento notarile verso noi stessi e verso i fratelli.
Adesso un giubileo in cui vivere la speranza, quella vera di cui parla Paolo ai Romani al quinto capitolo; la speranza che non delude – Spes non Confundit – come è il titolo della bolla, proprio la speranza di cui si sente bisogno in momenti come quelli che abbiamo di fronte.
Ho tratto molto beneficio spirituale dalla lettura di questi documenti di Francesco
Alcuni lo hanno sempre criticato sostenendo che la sua è una visione troppo orizzontale.
Da bravo gesuita latinoamericano proporrebbe un’attenzione alla sensibilità sociale e politica squilibrata rispetto a ciò che caratterizza la vera tradizione cattolica, vale a dire l’essere centrati sulla Fonte di ogni bene e quindi anche di quella sensibilità.
Credo che la lettura delle due bolle sia più che sufficiente a dissipare queste perplessità.
Proprio nei punti in cui ci sollecita a porre in atto dei segni concreti, socialmente significativi, di misericordia e di speranza, questi segni appaiono in modo luminoso come teologali, vengono da Lui, conducono a Lui, non sono, in ultima analisi, che il Suo trasparire in ogni circostanza del pellegrinaggio della vita.
Ha il coraggio, Francesco, di dire al mondo quale speranza può rianimarlo, non l’età dell’oro prossima ventura, ma ben altro: “Spera nel Signore! Sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore!” (Sal 27,14)