Giornata Magis Campania: per un sentire comune dei Movimenti ignaziani giovanili
DI ANTONIO M. CERVO
Fotografare in un articolo quanto vissuto dai ragazzi accorsi il 26 maggio scorso al Gesù Nuovo di Napoli per l’incontro dei movimenti ignaziani giovanili non è facilissimo.
La mia immaginaria macchina fotografica tenterà di immortalare a grandi linee le sfumature e i colori di contorno, che sono riusciti a rendere quest’esperienza emozionante non solo per chi vi scrive.
Ritrovarsi, ri-conoscendosi
Prima nota caratterizzante è stata ciò che per i più sarebbe potuta sembrare “routine”: ritrovarsi tutti insieme all’appuntamento di inizio giornata. Ragazzi e ragazze, provenienti da più parti della Campania, arrivano alla spicciolata, a quell’ora e in quel momento, ognuno con la propria appartenenza (Pietre Vive, Meg, Cvx…) eppure legati alla radice da uno stesso comune sentire, quello ignaziano.
Padre Jean Paul Hernandez S.I. introduce la giornata esattamente su questo solco, mentre illustra il valore profondo del “Magis”, parola “conosciutissima” per molti e che è anche minimo comune denominatore dell’unica spiritualità gesuita.
Già qui – mentre ero nel silenzio della riflessione – percepivo, in realtà, l’importanza di essere consapevoli della propria specificità ma, contestualmente, di “spogliarsene” per entrare in una connessione più ampia, con chi ti era affianco e con un sentire ignaziano che trascendeva ogni sigla.
Era quello il retroterra fondamentale da creare interiormente prima dell’inizio della giornata: sentirsi tutti veramente sullo stesso piano, accomunati dagli stessi orizzonti e dagli stessi strumenti per indagarli.
Sentire il reale
Terminato così il momento introduttivo della giornata, ci siamo sciolti in un unico fiume di ragazzi, raggiungendo la vicina Piazza del Gesù, ventre pulsante della città – per chi conosce poco Napoli – specie di domenica, dove la piazza diventa un meticciarsi di sacro e profano, fra torme di fedeli (che sgattaiolano nelle diverse chiese della zona) e di turisti.
Qui, secondo le istruzioni di Jean Paul (non senza tagliare a fette la curiosità di molti passanti: in una prima fase, formiamo un enorme cerchio, seduti per terra), ognuno si stacca dagli altri per trovare il proprio angolo di contemplazione. Dove? In chiesa? No, rigorosamente in strada, nel cosiddetto “secolo”.
A contemplare chi? Chiunque fosse passato davanti al proprio personale posticino in quel lasso di tempo (40 minuti).
E tutto questo per fare cosa? Per cercare, nel silenzio che sente e che scruta, di guardare con gli occhi di Dio le persone che ci sarebbero arrivate lungo la strada. Traslazione questa, sottile ma dirompente per tanti ragazzi, del pregare di Ignazio, sulla scia del saper “cercare Dio in tutte le cose”.
Andare nelle frontiere
“Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i gesuiti”.
Queste le parole che Paolo VI rivolse alla Compagnia nel 1974 e queste le parole che p. Michele Papaluca S.I. e p. Francesco Germano S.I. scelgono per siglare la parte conclusiva della giornata durante la Messa.
Ognuna delle persone, che ciascuno di noi aveva contemplato nell’esercizio fatto, non era solo un volto che ci saremmo portati nel cuore per il resto della giornata. Era una frontiera, la mia/nostra, personale frontiera che ci era stata affidata.
Analogamente, ogni giorno come ignaziani, al di là delle singole appartenenze, siamo posti all’interno di frontiere, piccole o grandi, che spesso sono rappresentate anche dall’Altro. “Altro” che andrebbe guardato “con gli stessi occhi di Dio”, proprio come ci suggeriva Jean Paul.
Come guardare “l’Altro”
Qui è l’attualità delle parole di Paolo VI, le quali non sono indirizzate solo ai gesuiti, bensì a ben vedere a tutti gli ignaziani, ai laici di ogni età e condizione, chiamati, in quanto tali, a vivere le frontiere a loro affidate, con la semplicità e il coraggio del proprio carisma. Un carisma che si snoda, sulla scia di Ignazio, innanzitutto, lungo l’esercizio del sentire il contesto e l’Altro per quello che è.
Tornando a casa, riflettevo su quello che sarebbe dovuto essere “solo” un incontro dei movimenti giovanili ignaziani… Era stato davvero qualcosa di più? Senza dubbio era stato un andare alle radici della propria spiritualità. Ma anche – riflettevo – un rinverdire il messaggio da portare lì dove siamo posti, non solo singolarmente ma anche comunitariamente, sulla scia di quello che diceva Helder Camara:
“Se uno sogna da solo, il suo rimane solo un sogno. Se il sogno è fatto insieme ad altri, esso è già l’inizio della realtà.”