21 Novembre 2024
Cristiani nel mondoFocusVita cristiana

Fraternità e figliolanza in Dio

DI FRANCESCO RICCARDI

Riflettere su fraternità e figliolanza in Dio, proprio durante tempi come questi, sembra quasi patetico. Farlo poi usando strumenti di pensiero teologici potrebbe apparire ai più qualcosa da alienati!

Siamo Figli di Dio dalla nascita o lo diventiamo con il battesimo?

Magari lo sarò, nulla di più facile, comunque ho deciso di stare un poco su una questione che da sempre sollecita la mia coscienza: si è Figli di Dio dalla nascita in quanto esseri umani, come una parte della teologia contemporanea sostiene o lo si diventa solo con il battesimo secondo l’insegnamento classico? E, di conseguenza, la fraternità è di tutti gli esseri umani o solo dei battezzati?

È appena il caso di ricordare, anzitutto a me stesso, che la dottrina della figliolanza divina acquisita con il battesimo come dono gratuito e immeritato non ha, nel pensiero della Chiesa, in alcun modo il significato di una qualche divisione dell’umanità in “classi” di importanza.

Tutti gli esseri umani sono, per la Chiesa, creature amatissime di Dio

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, al capitolo III dedicato alla persona e ai suoi diritti, ci fornisce un’ampia scelta di testi delle Scritture e del Magistero a chiarimento di questo.

Però non credo si possa negare che un’identità cristiana incentrata su una dimensione così viscerale come la figliolanza esclusiva nei confronti del Creatore possa procurare turbamento in chi si guarda intorno con un’anima sensibile alla radicale esigenza morale della solidarietà tra tutti gli esseri umani.

Gli studi teologici in merito sono molti. Per rendersene conto, basta scorrere le note al testo dedicato – del Catechismo della Chiesa Cattolica – o cercare gli articoli relativi allo specifico decreto del Concilio di Trento (sessione V 17 giugno 1546).

I riferimenti nelle Scritture

Anche semplicemente su internet, miniera del nostro tempo, si trovano i classici passaggi della Scrittura a sostegno della figliolanza acquisita con l’atto di fede e il battesimo (tanto per fare qualche esempio Gv 1,12; Gv 3,1-8; 1Gv 3, 6-9; 1Gv 5,18-19).

Ve ne sono in verità anche altri che sembrano piuttosto collegare la vera figliolanza con Dio con la vita di sensibilità al suo Spirito, che un essere umano di fatto conduce (anche in questo caso si può esemplificare citando tra altri Mt 5,9; Rm 2,12-14; Rm 8,14-17; 1 Gv 3,10). Si tratta in tutti questi casi di testi delicati, inseriti in contesti ampi, la cui esatta comprensione e portata sono affare da specialisti.

Ma il punto, credo, è che un cristiano non dovrebbe fare così. Prendere dalla Scrittura quei brani che sembrano supportare le proprie idee preconcette e “usarli” ignorando gli altri è qualcosa che non ha molto a che fare con un atteggiamento di fede.

La Scrittura si tiene devotamente presso di sé e si ascolta, cioè si fa silenzio davanti a Essa

Lo spessore profondo della verità della Scrittura non consiste nella possibilità di farne un magazzino di singoli testi da “scegliere” quando occorra dedurre, più o meno “more geometrico”, la fondatezza di qualche propria posizione.

La Scrittura ci parla del Padre della Vita e la Verità che essa porta è la potenza veramente unica di prenderci per mano, plasmarci e immetterci nella Vita Vera. Sempre, anche quando “si permette” di dirci qualcosa che non ci è particolarmente gradita.

Vorrei situare la riflessione circa la figliolanza divina su questo piano e chiedermi se l’anima riesce a cogliere la Vita Vera donata dai testi di cui sopra, indipendentemente dalla posizione che sembrano corroborare.

Io personalmente, per essere chiaro, mi sento di propendere per l’idea che gli esseri umani sono figli di Dio dalla nascita e che il sacramento battesimale conferisce un qualcosa di straordinario, ma più sfumato da cogliere.

Però la mia personale inclinazione non mi impedisce di cogliere la Vita grande e vera che mi è donata dai testi in cui la figliolanza divina è illuminata pienamente da un esplicito atto di fede e dal conseguente sacramento battesimale

Sono testi in cui non mi si chiede un affidamento cieco alle disposizioni di un Dio imperscrutabile. Mi si chiede un tranquillo lasciarmi condurre nella profondità del cuore umano e nel mistero delle sue scelte, da parte di Chi questo umano lo ha creato.

Del resto se la riflessione su figliolanza divina e battesimo inficiasse in qualche modo il rapporto viscerale di tutte le creature con il Creatore, ci troveremmo di fronte a un qualcosa che confligge con i capisaldi del pensiero cattolico.

Ricordiamo ad esempio San Tommaso che, nel commento al De Hebdomadibus di Boezio, dedica pagine memorabili alla dottrina della partecipazione metafisica della creatura al Creatore, partecipazione che costituisce il legame metafisico forse più forte, trascendentale. La dottrina della figliolanza divina acquisita non può essere intesa in modo da costituire un vulnus teologico rispetto alla riflessione filosofica perenne della Chiesa.

Se questa dottrina venisse letta da qualcuno come un non riconoscimento del legame metafisico Creatore-creatura si traviserebbe il valore dell’atto sacramentale del battesimo in quanto questo atto potrebbe quasi essere visto come una manifestazione della grazia, che non presuppone la natura in contrasto con l’insegnamento tradizionale. Non è certo questa la sensibilità del cattolicesimo.

Se poi mi soffermo sui testi che sembrano piuttosto collegare la figliolanza divina con la profondità morale, che di fatto un essere umano esprime con la propria vita, testi forse più congeniali alla mia sensibilità – come dicevo – mi appare con evidenza la Verità essenziale che la Scrittura mi dona. È la Verità che Dio esiste e che è Lui che indica la strada a me non io a Lui.

A me, battezzato senza alcun mio merito, spetta il lasciarmi guidare in modo consapevole e come meglio riesco dalla Sua Parola, a Lui permeare misteriosamente il cuore di chi ha diversi orientamenti e renderlo figlio come solo Lui sa e può.

Si dirà che riflettere così per un cattolico equivale a un lasciarsi dettare l’agenda dalle idee del mondo, ma la tradizione della Chiesa mi consente di nutrire il mio pensiero nella fede con apporti provenienti dall’esterno.

Ricordando Cano Melchor…

Mi piace ricordare l’opera classica De Locis Theologicis (M. Cano OP, 1562, postuma), in cui si sistematizzano le sorgenti, le vere e proprie condizioni di possibilità del pensare nella fede. Opera ormai classica della teologia fondamentale cattolica, ci insegna che oltre alle sorgenti proprie del pensare teologico (la Scrittura, la Tradizione, e il Magistero della Chiesa), ve ne sono alcune annesse, che sostanzialmente fanno riferimento alla ragione naturale, e che debbono anche esse essere considerate.

Io credo veramente che tutti gli esseri umani siano fratelli tra loro, credo anche che chi ha ricevuto il dono del battesimo sia immerso in qualcosa di grande, qualcosa che supera ogni possibile gratitudine verso il Creatore.

Si possono conciliare questi elementi? Oppure è uno dei dilemmi che radicano la fede nella profondità misteriosa dell’anima?

Francesco, nella catechesi sulla Lettera ai Galati dell’8 settembre 2021, distingueva tra una figliolanza generale degli esseri umani e la grande novità di essere “figli in Cristo”; che cosa significa? Come possiamo avvicinarci a intuire questa peculiarità che ci e donata?

Penso che almeno una via di riflessione sia aperta.
Ricordiamo che la Chiesa vede se stessa in Cristo come “[…] sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1).

È pensabile che una particolare declinazione di questa sacramentalità della Chiesa possa risiedere nella missione conferita ai battezzati di essere adottati quale segno della figliolanza divina di tutti gli esseri umani e strumento della loro fraternità?

Forse sì, anche in tempi come questi.

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2 pensieri riguardo “Fraternità e figliolanza in Dio

  • Marialisa Angeli

    Ringrazio Francesco Riccardi per quanto scrive con cuore in mano e mente lucida, senza nascondersi dietro un dito, ma con grande fede.
    Lo ringrazio per tutti i “non so” che dice o che appaiono in trasparenza e per la fiducia che la sua lettura sa dare in un momento nel quale la disperazione potrebbe prevalere.
    Sono felicemente stupita dalla sincronicità dei messaggi che mi arrivano visto che sto proprio ora leggendo “l’anima e il suo destino” di Vito Mancuso.
    Vorrei ricordare le parole conclusive di una conferenza tenuta da Monsignor Luigi Bettazzi una decina di anni fa, ad Aosta, durante la commemorazione di Adriana Zarri e che mi fece un gran bene al cuore.
    Ricordando che in greco non esistono le virgole, disse:
    <>
    Grazie

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  • Marialisa Angeli

    Probabilmente ho superato il numero di parole ammesse per cui aggiungo in un secondo messaggio quel che disse Monsignor Bettazzi:

    << generalmente viene tradotto "chi crede in Cristo, sarà salvato" ma io preferisco tradurre "chi crede, in Cristo sarà salvato"

    Rispondi

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