29 Aprile 2024
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Danisinni, lo Sperone e Zen: a Palermo storie di rinascita

DI ALESSANDRA PERRICONE

Palermo di dominazioni ne ha avute davvero tante, perciò i suoi monumenti hanno la caratteristica forse altrove meno presente di testimoniare splendori tra loro anche molto diversi. “Palermo arabo-normanna”, la dicitura delle nostre brochure turistiche, esprime bene il concetto di opposti che s’incontrano, per esempio attraverso una popolazione dove occhi chiari e carnagione olivastra convivono pacificamente da millenni.

Immagino sia per questo che le discrepanze tra quartieri – quelle che ci colpiscono nelle realtà metropolitane di tutto il mondo – qui sembrano stridere in modo particolare. Di recente, però, e certo nonostante il permanere di innumerevoli problemi, la città ha registrato qualche storia virtuosa. Di una di queste sentiremo parlare al nostro prossimo Convegno, precisamente di Danisinni, dove dalla Parrocchia di S. Agnese guidata da Fra’ Mauro è partito un cammino anzitutto umano che ha innescato processi sociali innovativi.

Ho chiesto ad Anna Staropoli, che per conto dell’Istituto di formazione politica Pedro Arrupe ha collaborato a un’azione di mediazione comunitaria dei conflitti con la parrocchia e la comunità educante “Zisa Danisinni”, di orientarci nel passato e nel presente del quartiere e prepararci così alla testimonianza di Fra’ Mauro.

“Per localizzare Danisinni, bisogna cominciare con l’immaginarlo com’era – ci dice Anna – ovvero un borgo rurale nel cuore della città per anni invisibile e ai margini, da cui lo separava un’unica strada non coperta dal trasporto pubblico. Una sorta di conca, che ancora oggi colpisce per essere ‘margine al centro’, a pochi minuti a piedi da Palazzo d’Orléans sede del Parlamento siciliano, ovvero di un’istituzione che in teoria rappresenta le istanze del nostro popolo di cui spesso però non conosce né ascolta bisogni e desideri”.

Ma la vocazione agricola del quartiere è stata ben letta da Fra’ Mauro che, senza ambizioni colonizzatrici, ha invece avviato un circuito virtuoso a partire proprio dalla sua specifica spinta territoriale
Gruppo di lavoro a Danisinni, con Anna
Gruppo di lavoro a Danisinni, con Anna

Ne è nata una fattoria sociale dove “il prendersi cura di piante e animali – come ci dice ancora Anna – è una virtù esercitata in ugual misura da famiglie e detenuti in semilibertà o che godono di misure alternative, e il cui risultato è una comunità coesa e capace di praticare la giustizia riparativa attraverso il recupero del giardino di ortofrutta, un tempo la cifra del quartiere”.

La cura si è poi estesa a un altro aspetto fondamentale per un lancio a pari merito nella società degli abitanti di Danisinni: la riapertura, dopo diciassette anni di battaglie, dell’asilo nido considerato, in questo senso, un vero avamposto di democrazia.

Nessuno tocchi Rosalia centro antiviolenza Le Onde onlusE… dai bambini alle mamme il passo è stato breve: l’Istituto Arrupe ha appunto avviato, insieme ad altri, un progetto di mediazione che, partendo deliberatamente dalle donne in quanto qui portatrici di un ruolo sociale molto forte (sono loro che curano e gestiscono) e dunque capaci di percepire subito il conflitto, ne consente l’ascolto interiore prima che diventi violenza.

Lavoro con donne e figlie nel centro contro la violenza sulle donne allo Zen di PalermoNegli incontri si parla perciò di ricerca delle proprie emozioni, dell’importanza di termini come fiducia e dialogo, fino a toccare l’ambito più sensibile, quello della condizione femminile spesso vessata o abusata

Da loro, attraverso un percorso di formazione che coinvolge docenti e bambini, si arriva poi all’intera comunità, dove i giovani mostrano di aver compreso il senso della partecipazione con iniziative artistiche come mostre fotografiche o video sui volti del quartiere. E adesso molte di quelle donne – abitanti storiche della zona, nonché straniere, entrambe quindi indirettamente coinvolte in uno sforzo di interculturalità – hanno imparato così bene il Kintsugi, la tecnica giapponese del vaso rotto e riparato con latte e oro (metafora di un conflitto da trasformare), da diventare esse stesse operatrici del progetto.

Lo Sperone

Continuiamo il nostro viaggio spostandoci dal centro di Palermo verso due delle sue periferie la cui fama, benché certamente fondata, non rende giustizia alle realtà che alcuni vi stanno costruendo con pazienza, entusiasmo e, in definitiva, amore.

Vista del quartiere Sperone
Vista del quartiere Sperone

A Sud-Est, lo Sperone, dove la nostra comunità cittadina ha tenuto il primo incontro di quest’anno pregando sugli spunti e l’intensa condivisione del parroco, con cui ci auguriamo un contatto sempre più stretto. Oltre a essere esempio di quella Chiesa in uscita, che tanto ama Papa Francesco, il quartiere è anche recentemente diventato un particolare spazio artistico grazie a “Sperone 167” che, sull’esempio dell’esperienza maturata a Lecce in contesti simili, riunisce privati, terzo settore, operatori del turismo e, appunto, artisti in un intervento sociale veicolato dalla street art.

Giulia Briguglia, quartiere Sperone a Palermo
Giulia Briguglia

Ne fa parte Giulia Briguglia, un’amica albergatrice che comincia la nostra conversazione senza peli sulla lingua.

“Il quartiere è già bello per la sua posizione geografica tra mare e montagne ma diventerebbe fantastico se curato dallo Stato”.

In effetti, chi si spinga oltre la Stazione Centrale e si addentri, lasciandosi il mare alle spalle, in questo luogo noto alle cronache soprattutto per lo spaccio e il consumo di droga, impatterà subito con una vista che non si aspetta: quella dei grandi murales raffiguranti volti e scene della Palermo che non si arrende ai suoi potenziali stereotipi.

Sono opere imponenti che però partono dal basso per farsi, come dice Giulia, “riflettori accesi sui bisogni degli abitanti”. Non è quindi – nemmeno questo – un intervento calato dall’alto.

“È, piuttosto, basato sul desiderio di accendere scintille dentro le persone parlando loro di cura, di bellezza, di decoro e pulizia, e aprire così finestre mentali che permettano ai più giovani di sognare mestieri, ora resi accessibili, nel campo della fotografia, della stampa 3D, o del videomaking.”

Questa Palermo, responsabile, che si muove per un maggior bene non ha dunque l’intento grandioso di cambiare vite, cerca solo di cambiare lo sguardo di alcuni. E lo fa non solo attraverso l’ascolto delle loro narrazioni, magari sotto l’impalcatura dell’artista dove si riuniscono, spinti un po’ dalla curiosità ma soprattutto da un’innata attitudine alla bellezza, di cui sono purtroppo malnutriti, ma anche in senso inverso, portando cioè turisti altrettanto responsabili lungo percorsi a piedi tra i brutti edifici del quartiere a cui i murales hanno dato vita nuova.

Murale con Fratel BiagioE così è accaduto che in tanti, da dentro e fuori lo Sperone, hanno accolto l’invito ad andare oltre l’arte (che non è soltanto figurativa ma musicale, circense, sartoriale) e ripulire un presunto e fatiscente centro servizi in realtà dedicato al consumo di crack, perché “si fa presto a parlare di degrado quando la gente è lasciata nel degrado”.

Prima delle singole azioni, tuttavia, “Sperone 167” (che si definisce non un’associazione ma una “alleanza creativa”) mette il rispetto e la discrezione nei confronti di chi qui ha la propria vita. Come sostiene Giulia:

“La nostra unica certezza è data dai diritti. Per il resto, cerchiamo un dialogo che ci consenta di fare insieme la strada oltre il muro dipinto.”

Zona Espansione Nord: lo Zen di Palermo

L’ultimo avamposto della città in direzione dell’aeroporto è lo Zen – Zona Espansione Nord. Anche questo quartiere, diviso in Zen1 e Zen2, è noto per le sue ampie tasche di criminalità “al punto tale – racconta Alessandra Notarbartolo dell’associazione “Laboratorio ZEN insieme” – che l’indirizzo nel curriculum di giovani, pur preparati, genera quasi sempre sospetti irreversibili”.

Alessandra lavora a diversi progetti: dallo “Spazio mamme” alla biblioteca, dalle attività per bambini e ragazzi alle battaglie per una riqualificazione degli spazi esterni.

“Ci battiamo da anni – dice con trasporto dopo avermi ricordato dove ho parcheggiato – per avere una piazza con panchine e un po’ di verde dove la gente possa sedersi o passeggiare e i bambini giocare, soprattutto in estate quando invece è coperta da spazzatura lasciata a marcire per la gioia dei ratti e nell’indifferenza dell’azienda dei rifiuti. In fondo rivendichiamo solo il diritto alla bellezza di un quartiere massacrato dalla narrazione, dove gli abitanti portano lo stigma di cittadini di serie B, quando – e nonostante siano ben circa 30.000 – non sono addirittura invisibili tanto che l’autobus “da Palermo”, come dicono loro, fa la sua ultima corsa alle 21.00.”

Lo Stato sembra infatti accorgersi dello Zen solo in due occasioni: le elezioni e le retate

Peccato, perché invece troverebbe una comunità unita e solidale, come quando durante il lockdown tutti facevano la spesa per tutti, ben sapendo che i bisogni erano uguali in ogni famiglia. Su questa forte coesione fa invece leva il “Laboratorio Zen insieme” che con Alessandra e altri professionisti come lei – “perché il quartiere ha diritto a non avere solo bravi volontari” – lavora non per loro ma con loro, formando operatori nati e cresciuti qui a cui, in ultima analisi, l’associazione appartiene.

Insieme, e di recente anche con il sostegno del nuovo parroco, organizzano attività sportive come tornei di calcio (un vero e proprio valore sociale, per le zone più popolari della città) e di altri sport che hanno, oltre a un forte potere aggregativo, anche quello di mettere il rispetto delle regole sotto una luce positiva e necessaria.

Da poco hanno poi avviato un ambulatorio gratuito dove medici in pensione si uniscono a colleghi più giovani per dare alla popolazione un servizio di prima assistenza pediatrica in settori come la logopedia o la psicomotricità, nonché di discipline specialistiche per gli adulti, prima che vengano indirizzati alla sanità pubblica, e, cosa forse tanto più urgente quanto inaspettata, di aiuto psicologico al disagio mentale di molti adolescenti del quartiere.

Qui finisce il piccolo contributo della Cvx di Palermo – ugualmente coinvolta nell’accoglienza agli ultimi, con il Centro Astalli e il servizio nelle carceri – alla preparazione al Convegno. Abbiamo cercato di aprirvi anche solo un po’ le porte della città perché, una volta arrivati, possiate sentirvi meno spaesati e più liberi dai pregiudizi… Adesso comincia il viaggio. Quello vero.

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