Gaza, tra lacrime e odio (da Gentes, 01-02/2009)
Gaza, le lacrime e l’odio
Vi sono momenti in cui la storia e il vangelo si incrociano e pare si confermino a vicenda. Il 28 dicembre di ogni anno la Chiesa rilegge la pagina del Nuovo Testamento in cui si racconta della strage di bambini di Betlemme ordinata da Erode. La Chiesa definisce quei piccoli con il nome di Santi Martiri Innocenti. In realtà si tratta di un racconto midrashico, cioè simbolico: nessun testo storico registra un avvenimento del genere nella Palestina di quel tempo. Adesso questo avvenimento e il nome che lo descrive sono diventati realtà: proprio a partire dagli ultimi giorni del dicembre scorso e proprio in Palestina, decine e decine di bambini vengono uccisi, non da sgherri assatanati ma da un esercito fra i più potenti della Terra con generali, bandiere, ferrea disciplina, minuziosi piani di battaglia. Perché Santi e Martiri quei bambini di Betlemme coetanei del Signore?
La liturgia risponde con una formula che a me pare stupenda: martiri e dunque santi perché non loquendo sed moriendo confessi sunt, perché “non con parole ma con la morte hanno testimoniato il Cristo”. Così, una volta di più, la riflessione evangelica coglie il nesso intimo fra il Salvatore e i più poveri dei poveri: il loro destino, la loro storia ignorata dai libri, persino la storia effimera (di pochi giorni, mesi o anni) dei piccini uccisi dalla violenza degli adulti sono storia sacra, inscritta nel mistero della croce.
Qualcuno mi ha detto tempo fa che nelle icone ortodosse dell’Epifania la culla di Gesù bambino ha la forma di una bara (ma le notizie che arrivano da Gaza mentre scrivo, il 6 gennaio, dicono che la popolazione non riesce più a seppellire i suoi morti). Non con le parole ma con la morte testimoniano la realtà tutti i piccoli schiantati dalla nostra follìa o dalla nostra inerzia. Siano i bambini violati dai “turisti del sesso” o quelli schiacciati dalle fatiche di certi lavori “minorili”, le creaturine vietnamite che nascono deformi a causa dei defolianti disseminati dagli americani durante la guerra; o siano i ragazzini-soldati di certe aree africane o quelli uccisi, mutilati o psichicamente straziati dai conflitti, come i piccoli afghani e congolesi e sudanesi, quelli israeliani assassinati dai terroristi o, adesso, quelli massacrati dall’esercito israeliano, le vittime infantili del nostro tempo testimoniano che il male distende le sue ali di tenebra in tutte le epoche e i luoghi, e può insediarsi nel cuore di ogni uomo.
I bambini violati e uccisi accompagnano con le loro ombre il nostro cammino e vanificano con i loro lamenti o i loro insanguinati silenzi la nostra pretesa di essere autori di una civiltà sempre più “umana”: giusta, cioè, libera, generosa. E tenera. Credo fermamente che nessuno di noi possa “chiamarsi fuori” da queste realtà planetarie, che legami più o meno visibili ci saldino ai mali del nostro tempo e che non sia possibile uscire dalla nostra inevitabile condizione di carnefici (o, almeno, di favoreggiatori di carnefici) se non cercando di cogliere in tutta la sua valenza le nostre responsabilità. Credo, cioè, che innanzi tutto il nostro dovere non sia soltanto di piangere le piccole vittime ma di conoscere le condizioni storiche che le hanno crocifisse, per vedere se non sia possibile da parte nostra qualche intervento per un mutamento della realtà.
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Sommario
EDITORIALE
Capodanno a Sighet, di Leonardo Becchetti
STUDIO
GAZA, le lacrime e l’odio, di Ettore Masina
Prima del processo di pace, che trionfi la verità, di P. Daniele Moschetti
Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza? di Mustafa Bargouti
Gaza, il puzzle del negoziato, di Janiki Cingoli
Occorre guardare il volto della guerra, di Davide Rondoni
Pax Christi: Fermatevi subito, fermiamoci tutti!, di Pax Christi Italia
INVITO ALLA PAROLA
Hanno oscurato il cielo di Palestina
VITA LEGA
Dieci anni di Sighet, di Angelo Tomassetti
Questi assurdi spostamenti del cuore, di Le ragazze della Lms di MIlano
Una zattera nel mare, di Anita Bonfiglio
La forma dell’acqua, di Alessio Farina