ASSALTO AL CONGRESSO USA | Don’t know much about history…
Cominciava così una canzone americana degli anni ’60 e, non contento delle proprie scarse conoscenze di storia, l’autore continuava citando altre materie che lo vedevano studente mediocre – scienze, lingue, geografia, matematica – concludendo con la frase (che tutti sappiamo essere la più potente e rivoluzionaria del mondo):
ma una cosa la so, che ti amo e che se anche tu mi ami…
Conclusione apparente, in realtà, perché seguita da una chiosa interessante oltre che già presente nel titolo: questo sì che sarebbe un mondo meraviglioso.
Ho ripensato a questa canzone nei giorni scorsi, quando le immagini del Congresso americano assaltato e saccheggiato hanno scosso la mia coscienza “democratica” e risvegliato in me ricordi di un incontro ravvicinato con la cultura degli States.
Volti, luoghi, espressioni…
Un susseguirsi di privati fotogrammi si è accompagnato ai servizi dei telegiornali fino a innescare una riflessione che nulla toglie allo slancio di civiltà che ha fatto sobbalzare dalla sedia chiunque avesse un briciolo di senso dello Stato, ma che ha introdotto nel mio arrabbiato sgomento un punto interrogativo.
Perché, al netto della furbizia di politici e non, oltre che della smania di potere e protagonismo di alcuni, rimane la loro storia che, per quanto breve a confronto della nostra, trasmette ancora segnali di un’innocenza mai perduta, del desiderio mai sopito di una vita a contatto con la natura estrema, di un’esistenza “selvaggia” e perciò aperta a tutto lo spettro delle opportunità.
È una verginità che può portare a un esasperato senso d’inferiorità (facile preda del suo opposto, come sanno bene i cristiani ignaziani) o, viceversa, alla ricerca, umile e possibilmente condivisa, della conoscenza:
“Acquista la saggezza; sì, a costo di quanto possiedi, acquista l’intelligenza” (Proverbi 4,7)
Allora, all’autore di Wonderful World, vorrei dire che no, non credo sarebbe così fantastico se ci facessimo bastare conoscenze tanto basiche, benché sicuramente esplosive e totalizzanti, almeno non senza un impegno che le coltivi. E a me, a noi, chiamati ad amare tutte le pecore senza pastore, ricordo che forse essere più o meno colti o informati dovrebbe servire ad ascoltare, con pazienza e senza il salvagente della “cultura”, il grido di tante vittime dell’ignoranza propria e dell’arroganza altrui.